Il valore formativo dell'educazione alla legalità con Associazione Valeria
Mi è stato chiesto di sviluppare alcune, sintetiche, riflessioni sul valore formativo del progetto "I giovani e il servizio giustizia" e volentieri raccolgo l'invito perché, per il mio lavoro di insegnante, è stata davvero un'esperienza educativa profonda.
Profonda perché unisce due momenti fondamentali del processo educativo, quello di ampliamento delle conoscenze e del sapere e quello di uno sviluppo della personalità, in direzione dell'acquisizione di senso critico e di senso di responsabilità individuale e di impegno sociale.
La cifra di questo progetto, la sua forza, mi è parsa la capacità di mettere in moto lo studente, di metterlo in moto sotto diversi profili, mettere in moto la sua sensibilità emozionale, la sua intelligenza, la sua voglia di capire, mettere in moto la sua capacità progettuale, la sua capacità di confrontarsi con la realtà delle cose e con gli altri. E se si mette in moto la volontà di capire e si danno poi alcuni, fondamentali, strumenti di conoscenza si può pensare che questo stimoli anche la voglia di partecipare e, perché no, di cambiare.
E' un progetto che mette in moto perché:
1. ingenera dubbi e domande, spiazza, e perciò
2. promuove la formulazione di risposte, o tentativi di risposta, a interrogativi individuali e sociali
3. ingenera un bisogno di conoscenza e approfondimento delle situazioni scalzando o incrinando pregiudizi profondi e consolidate abitudini di interpretazione della realtà sociale
4. rende "vivi" e concreti argomenti altrimenti poco significativi.
Questo per noi insegnanti è fondamentale. Si imputa agli adolescenti di essere passivi, strafottenti, psicologicamente parlando, e poi narcisisti e irresponsabili, sotto il profilo etico. Il percorso seguito è, secondo me, efficace, appunto perché può contribuire a farli uscire da questa frustrante e improduttiva situazione, esistenziale prima ancora che cognitiva e culturale perché, disorientandoli e insieme fornendo strumenti interpretativi, favorisce lo sviluppo della volontà di approfondire, individualmente e nel dialogo di classe, situazioni e problemi concreti, problemi che riguardano la carne del mondo. Temi che vengono abbracciati da molte discipline e che talvolta scivolano, inascoltati, sulla pelle dello studente, diventano qui occasioni di crescita intellettuale e morale.
Quali temi? tantissimi: la giustizia nei suoi vari significati, il diritto, la funzione delle regole, il rapporto morale-giustizia, la responsabilità individuale, il rapporto individuo-società, il rapporto tra diritti e doveri, il tema della libertà, quello dell'uguaglianza e del loro problematico rapporto.
Il percorso effettuato mi è parso efficace perché realizza una buona sinergia tra momento emozionale e momento conoscitivo-riflessivo, momenti di conoscenza astratta ed esperienze concrete. E per indirizzi, come il liceo classico, che non prevedono lo studio del diritto, un incontro con una disciplina così strutturata è fondamentale perché qualcosa rimanga e metta magari anche radici.
Vediamo perché e come.
Il primo momento, l'incontro con l'avvocato. Ancor prima: la preparazione all'incontro favorisce l'attenta lettura di alcuni testi, che per noi sono stati Dei delitti e delle pene e gli articoli fondamentali della nostra Costituzione.
L'incontro con l'avvocato introduce ai grandi temi: imputabilità, reato, funzione della pena.
E' una presa di consapevolezza della necessità delle regole, ma è anche un primo calarsi nella situazione problematica che il diritto e la sua applicazione comportano; emergono infatti questioni come la complessità del concetto di reato, la duplicità del diritto, il suo volersi presentare come oggettivo, mentre è inevitabilmente legato all'interpretazione, il concetto di verità come "verità processuale"; emerge come comportamenti che sono talvolta praticati dagli adolescenti, con leggerezza e senza l'idea che possano essere perseguibili penalmente, siano invece reati, e anche l'idea che spesso c'è un confine lieve tra ciò che è perseguibile e ciò che è solo sanzionabile amministrativamente; insieme, si sviluppa la convinzione, ma prima ancora che la convinzione, il "sentimento" che già nella fase processuale l'atteggiamento del giudice debba essere improntato al rispetto dell'imputato, al riconoscimento della sua umanità e l'idea che la pena debba sì sanzionare, ma mai umiliare la dignità dell'altro.
Si percepisce che non si può più pensare a un'umanità divisa in buoni e cattivi, onesti e delinquenti, ma a un unico universo, in cui il riconoscimento dell'altro non viene meno, anche a fronte di gravi reati.
E poi viene l'esperienza del tribunale, che in parte disattende le aspettative precedenti perché qui c'è soprattutto, direi, l'impatto con l'inflessibilità del diritto, rappresentato innanzitutto da segni che marcano la differenza tra gli individui: la toga, la gabbia, nei processi per direttissima, l'interrogatorio. Risulta chiaro ora che la società si difende con la legge, ma che spesso la legge punisce la parte più debole della società; emerge a tratti, l'aspetto di pura forza del diritto e della giustizia; il potere del magistrato appare assoluto e si tocca con mano che il diritto rimarca e acuisce talvolta casi di ingiustizia della società (esempio eclatante: se non hai una casa per gli arresti domiciliare finisci a San Vittore).
Si fa strada un sentimento di solidarietà e simpatia nei confronti dei presunti rei e il "delinquente ", il totalmente "altro" da noi, diventa un individuo verso cui si prova empatia, lo si comincia a capire, prima ancora che giudicare. Importante è (noi l'abbiamo fatto ed è stato un momento di completamento importante) assistere anche a un processo ordinario, con la possibilità di vedere le motivazioni della sentenza, perché allora le "ragioni" del magistrato si comprendono più a fondo, e il tutto si complica.
Il momento centrale è senz'altro la visita al "Carcere", perché qui il coinvolgimento è fortissimo, l'incontro con i detenuti è davvero "straniante" . Si assiste e si sperimenta lo sgretolarsi progressivo della diffidenza e dell'incomprensione, crollano i muri del pregiudizio; i ragazzi sperimentano in modo ancoro più profondo la superficialità delle loro precedenti idee di "reo", "delinquente", capiscono la complessità delle situazioni esistenziali e sociali che privilegiano alcuni ed emarginano altri, comprendono anche, però, la centralità della scelta individuale. Perché le storia dei detenuti evidenziano da un lato le responsabilità della società, ma insieme rimarcano che anche il delinquere è stato l'esito di una decisione dell'individuo.
E proprio qui, nel "carcere" si scopre che "cambiare si può". Si può grazie a istituzioni considerate comunemente ostili e repressive. Si tocca con mano l'aspetto della giustizia come "servizio" . Consapevole del fatto che l'umanità non si divide in buoni e cattivi, e il fondamento di ogni comunità è il rispetto dell'altro, la società interviene, in parte riparando a suoi torti, e fornisce strumenti a persone potenzialmente perdute.
L'aspetto che viene colto più di tutti è la possibilità dell'individuo di "cadere", ma anche di rendersi conto del suo errore e della possibilità, all'interno di un contesto positivo e accogliente, di sviluppare un processo di formazione e conoscenza di sé. Qui emerge il tema della libertà, la sua problematicità: l'assenza di libertà esteriore può stimolare un percorso di libertà interiore come scoperta di sé e della propria creatività e capacità.
Perciò la "gabbia" educativa, proprio con le sue regole, può essere occasione di formazione e conoscenza di sé e delle proprie potenzialità. Le molteplici iniziative messe lì in opera, ma anche la sola responsabilizzazione e condivisione di regole comuni di comportamento, sollecitano, nei detenuti, la cura degli altri e delle cose, non più visti solo come strumenti o come oggetti da possedere, ma come realtà da accompagnare e far crescere. E qui l' “altro", il detenuto, inizialmente oggetto di un sentimento astratto di solidarietà, poi oggetto di commiserazione e di pietà diventa un soggetto attivo, una persona capace, in una situazione di costrizione e di forti privazioni, di dare un senso alla sua esistenza e di costruire una sua identità.
L'ultimo incontro è importante perché la parte emozionale delle due esperienze si distende in una riflessione, che suscita, in verità, nuovi problemi. Bollate fa capire che gli individui possono cambiare e anche la società può essere cambiata, se è vero che l'istituzione carceraria si è profondamente modificata, sia pur solo di recente.
Sì, certo, ma ecco i problemi risorgere, soprattutto uno: perché Bollate sì e le altre carceri no? Che giustizia è questa? E così di nuovo, si apre il dibattito, ma anche si fa chiara la consapevolezza che la realtà, prima fra tutte quella del diritto, è complessa e forse proprio per questo si aprono varchi di progetto e di azione; davvero qualcosa si può fare, se si agisce insieme e si condividono le regole a cui ci si sottopone volontariamente e la giustizia, se anche impossibile da realizzare pienamente, rimane comunque, kantianamente, un'idea regolativa imprescindibile.
Un grande ringraziamento da parte mia e della collega Romoli va all'Associazione Valeria e agli avvocati, dottoresse Fumagalli e Scardellato che con la loro sensibilità e competenza hanno permesso lo snodarsi di questo percorso di conoscenza e di ricerca.
Simonetta Orlandini