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Una riflessione sulle restrizioni nelle carceri

È passato più di un mese dalla chiusure delle scuole e di conseguenza dalla sospensione delle nostre attività. In alcune classi è stato possibile portare a termine i nostri progetti, in altre i percorsi sono rimasti a metà oppure sono stati conclusi con il sistema della video conferenza e in molte, purtroppo, non siamo riusciti neppure ad incontrarci una prima volta.

In queste settimane ci sono state imposte restrizioni sempre più rigorose, la nostra vita è cambiata, abbiamo toccato con mano cosa significa non potere decidere liberamente dove andare e con chi: stiamo sperimentando quanto i detenuti incontrati in questi anni nei reparti “La Nave” di San Vittore, “La Vela” di Opera ed a Bollate ci avevano raccontato.

Con i ragazzi di questi reparti ci siamo confrontati a lungo su temi quali la libertà, gli affetti, ma anche la cura e la salute e chi ha potuto conoscerli sa bene quanto questi incontri costituissero per loro un contatto con l’esterno e per noi, spesso, un’occasione per riflettere sull’importanza dei diritti fondamentali e su che cosa comportasse la loro mancanza o limitazione.

Il dialogo instaurato con i ragazzi della “Nave”, della “Vela” e con i ragazzi del Carcere di Bollate ci ha fatto comprendere il valore e l’efficacia di progetti di supporto a favore di chi sta cercando di dare una svolta alla propria vita e di quanto il confronto con gli operatori ed il mondo esterno fosse da stimolo per raggiungere tali obiettivi.

Ora, le restrizioni per i detenuti sono diventate ancora più dure: sono settimane che non possono incontrare i famigliari e ricevono notizie solo grazie alle comunicazioni telefoniche e via skype; i programmi di trattamento sono stati sospesi in quanto gli operatori ed educatori che lavoravano a stretto contatto con loro non possono più accedere agli istituti di pena per proseguire il progetto terapeutico e riabilitativo in corso.

La situazione nelle carceri è diventata esplosiva: è evidente il pericolo di diffusione della malattia in un ambiente promiscuo e sovraffollato come quello carcerario, dove è impossibile garantire il necessario distanziamento ovvero isolare le persone contagiate: i detenuti, gli operatori e gli agenti di polizia penitenziaria sono tutti esposti al rischio del contagio.

L’incendio della scorsa notte in Tribunale, inoltre, ha reso inagibili gli uffici del Tribunale di Sorveglianza, ossia di quei magistrati che avrebbero dovuto valutare le istanze presentate dai detenuti volte ad ottenere misure alternative al carcere ovvero di differimento pena per motivi di salute, nonché gli uffici dei Giudici per le indagini preliminari chiamati a decidere, per i detenuti in attesa di giudizio, la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, allo stato visibilmente lesiva del diritto alla salute, con altre maggiormente idonee a garantire tale diritto.

Le classi che hanno incontrato i detenuti in affidamento in prova al servizio sociale e gli operatori dell’ufficio esecuzione penale esterna a loro affidati hanno potuto verificare l’efficacia delle misure da scontare sul territorio e quanto queste non significhino affatto impunità, ma una modalità differente di scontare la pena.

Le misure alternative alla detenzione paiono le uniche, in questo momento storico, in grado di contemperare i due interessi in gioco: il diritto alla salute dei detenuti (ma anche degli operatori penitenziari) e la tutela della collettività, senza dovere rinunciare all’obiettivo primario della sanzione penale contenuto nell’art. 27 della nostra Costituzione, ossia la rieducazione e la riabilitazione della persona condannata.

Naturalmente, l’accesso a queste misure non potrà prescindere da una valutazione da parte della magistratura in merito alla sussistenza dei requisiti necessari e, certo, attesa la situazione emergenziale, non sarà facilissimo adottare misure celeri e tempestive.

Inoltre, l’attuazione pratica delle misure dovrà adeguarsi ai veti imposti dall’emergenza sanitaria che implicano inevitabili difficoltà, ad esempio, nella frequentazione di centri diurni, nello svolgimento di attività riparatorie, nella presa in carico terapeutica e nella difficoltà ad operare a distanza da parte dei servizi adibiti alla verifica dell’esecuzione penale esterna.

Quanto sta accadendo costituisce un’occasione unica per ripensare alle molte tematiche proposte durante i nostri incontri; al valore della libertà e di come questa sia stata ora fortemente limitata in tutte le sue espressioni, dalla libertà personale alla libertà di movimento, di riunione, di associazione, ma anche di professare la fede religiosa e di accedere allo studio ed alle istituzioni culturali.

Stiamo vivendo una situazione nuova nella quale, per salvaguardare la tutela della salute di tutti, sono state adottate misure restrittive importanti, sperimentando sulla nostra persona quanto, ad oggi, c’era solo stato raccontato da altri.

Forse queste riflessioni potranno aiutarci a comprendere che avere regole comuni e rispettarle, con senso di responsabilità, costituisce espressione del nostro vivere civile.

Avv. Emanuela Fumagalli

San Vittore e la Nave – Viaggio nella quarantena

L’Oblò – Il mensile di San Vittore reparto La Nave